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Le Figlie della Carità a San Salvario

 

 

La comunità torinese delle Figlie della Carità si ingrandì velocemente, e presto si pose il problema di trovare una sistemazione più adeguata. Re Carlo Alberto trovò una soluzione, offrendo alle Suore il convento di San Salvario.

 

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Carlo Alberto, convinto che la presenza delle Figlie della Carità – delle quali aveva apprezzato il servizio in Francia – era un dono per i suoi sudditi, aveva già stanziato una rendita annua di £ 3.500 per il mantenimento delle novizie.

 

Il 27 settembre 1837, il sovrano consegnò personalmente nelle mani della Visitatrice, suor Pierrette Laroche, le chiavi del convento di San Salvario, con annessa la chiesa di San Salvatore, Cappella del Castello del Valentino, voluta nel 1645 da Maria Cristina di Savoia, moglie di Vittorio Amedeo I di Savoia, figlia di Enrico IV, re di Francia e sorella di Luigi XIII.

 

Lo stabile richiedeva una radicale trasformazione per adeguarlo alle necessità della vita in comune condotta dalle Suore. Il Sovrano donò alla Visitatrice la somma di lire 6.000 e, successivamente, in considerazione della spesa globale sostenuta per riadattare il convento, l’ulteriore somma di lire 55.000.
Grazie all’interessamento del sovrano, nel 1839 le Figlie della Carità ottennero il vasto giardino verso ovest.

 

Nel frattempo, con l’aumento costante della popolazione, si assistette ad un ampliamento urbano che interessò anche la zona di San Salvario. Le Suore, nel prestare la loro opera di cura dei malati nelle loro case, si accorsero presto che nel nuovo borgo vi erano infermi non abbastanza poveri da potere disporre gratuitamente delle cure necessarie presso gli ospedali cittadini, ma non abbastanza ricchi da potersi curare in modo autonomo, con gravi sofferenze per loro e per le loro famiglie. Per questo motivo, le Figlie della Carità decisero, nel 1839, di aprire a loro spese un ospedale, che fu attrezzato nell’ala nord del convento.

 

Re Carlo Alberto aveva l’abitudine di visitare periodicamente l’ospedale, ed era talmente soddisfatto della sua conduzione che vi inviava gli addetti alla Real Casa bisognosi di cure, o invecchiati, o cronici, e che non potevano ricevere la necessaria assistenza nella propria famiglia.

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Infine egli decise di stabilire alcune pensioni da pagarsi all’ospedale per l’accoglienza degli addetti della Real Casa.

 

Sempre nel 1839, la comunità delle Figlie della Carità accolse a San Salvario gli infermi dell’ospedalino delle Dame della Carità di San Francesco da Paola e Sant’Eusebio; inoltre, alcune Suore furono destinate all’Istituto della Maternità di Torino, che accoglieva i bambini abbandonati in fasce dalle madri.

 

Dopo qualche tempo confluì a San Salvario anche l’Opera dei Convalescenti della Veneranda Confraternita della Santissima Trinità, istituita nel 1548 da San Filippo Neri con il compito di accogliere i poveri che, guariti dalla malattia, avevano bisogno di ristabilirsi. L’ospizio restò a San Salvario per circa 25 anni prima di trasferirsi nell’ospedale di San Giovanni e poi, in un secondo momento, alla Crocetta.

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Il costante aumento della popolazione del borgo poneva però anche un altro problema, tutto di ordine spirituale. La chiesa parrocchiale era formalmente quella della Crocetta, ma dato il grande numero di parrocchiani, era impossibile prestare la dovuta assistenza spirituale a tutti. La chiesa di San Salvario divenne così una succursale di fatto della Crocetta, grazie all’ufficiatura assicurata dal cappellano delle Suore, le quali sentivano però il bisogno di avere un luogo appartato in cui ritirarsi in preghiera, e quindi fu convertito in cappella un locale sovrastante il presbiterio della chiesa.

 

Nel 1842 la Provincia era formata da 260 Suore e 30 Seminariste, in 20 case.

 

Nel 1844 avvenne la prima visita del Padre Etienne, Superiore Generale, alla Casa Centrale di Torino. In seguito, scrivendo alle Suore, dichiarava: “Ho creduto di trovarmi alla Casa Madre tanto la copia era conforme all’originale”.

 

Nel 1846 fu ampliato il giardino verso sud, con l’acquisto di terreni di proprietà del conte Rignon. Il 25 luglio 1849, il re Carlo Alberto, grande benefattore della Comunità, morì in esilio, a Oporto, in Portogallo. Vi era giunto pochi mesi prima, dopo l’abdicazione avvenuta il 23 marzo dello stesso anno. La Provvidenza dispose che la salma, prima di essere accompagnata da tutto il popolo in Duomo per le esequie, e tumulata a Superga, venne deposta per una breve sosta davanti a San Salvario, come per un ultimo tacito saluto del Re alle Suore, attraverso le quali aveva soccorso così largamente i Poveri.

 

Nel 1850, la costruzione della linea ferroviaria Torino-Genova rese necessaria l’espropriazione del giardino; se da una parte creò un po’ di disagio anche lo sferragliamento diurno e notturno, dall’altra parte venne percepita dalla Provincia come l’invito profetico a farsi prossimo – con urgenza – non solo dei Poveri di Torino e del Piemonte, ma di quelli dell’Italia intera che passava ormai sotto le sue finestre.

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Inoltre la linea tagliò in due il territorio della Parrocchia della Crocetta. Non essendovi cavalcavia, molti parrocchiani dovevano fare un lungo giro per recarsi in chiesa. Per questa ragione, il 22 dicembre 1851 la chiesa di San Salvario fu eretta a succursale della Crocetta, e il cappellano dell’ospedale fu investito dell’onere di esercitare il ministero parrocchiale.

 

 

Risale all’incirca a quell’anno una relazione non datata, firmata da Marc’Antonio Durando e dalla Visitatrice Marie Dufour, in cui si descrive l’edificio religioso:

“La chiesa di San Salvatore è esterna e annessa alla casa delle sorelle della Carità di San Vincenzo di Paoli. Ella è di forma esagona a cupola con uno sfondo in cui sta l’altar maggiore ed il coro per le sorelle e due specie d’anditi laterali in mezzo ai quali sono altre due capelle l’una dedicata alla Santissima Immacolata e l’altra a sinistra a San Vincenzo de Paoli. L’altar maggiore, siccome la chiesa, è dedicata al Salvatore risorto ed a San Valentino e se ne fa la festa alla seconda di Pasqua. Sonovi tre confessionali in buono stato: due accostati a due pilastri in chiesa; e l’altro al lato sinistro del coro. Vi si conserva il Santissimo Sacramento e l’olio Santo per le sorelle, ed infermi. In fondo al coro dall’epistola essici il sacrario.

 

In ogni domenica, e festa vi si celebrano tre messe basse, e vi si canta il Vespri in canto fermo, e dessi la benedizione; nei feriali vi si dicono due messe dai due Signori curati e cappellani ai quali sotto la direzione del Direttore e Vice Direttore Missionari è data la cura degli ammalati siccome delle scolare per prepararle alla confessione e santa comunione per la quale la intendono coi parrochi rispettivi. Venendo a morire qualche sorella o infermo dell’ospedale se ne dà avviso al parroco della Crocetta e si fanno registrare a dovere nei libri parrocchiali, retribuendone la tassa ordinaria per que’ dell’ospedale. Le suore e le novizie vengono seppellite in tombe a ciò destinate sotto la chiesa. Gli altri al cimitero della parrocchia. Si ha il privilegio di far la festa di San Iubenzio Martire di cui si posseggono le ossa venerande per rescritto pontificio emanato a Roma il 21 giugno 1841 e riconosciuto in questa Curia Arcivescovile li 25 novembre 1841. Tal festa è fissata agli undici maggio”.

 

 

Il continuo crescere della comunità rese presto necessario trovare nuovi spazi, che furono ottenuti con la sopraelevazione di un piano dell’ala nord del convento, adibita ad ospedale, come i piani sottostanti, e dell’ala sud, residenza di Suore e Seminariste.

A causa dell’aumento della popolazione della zona, si pensò all’istituzione di una nuova Parrocchia. Per preparare il terreno, in ogni senso, il Teologo Maurizio Arpino si stabilì a San Salvario come Cappellano dell’Ospedale (dal 1852 al 1861). La stessa San Salvario divenne così la prima sede della nuova Parrocchia dedicata ai Santi Pietro e Paolo, la cui prima pietra fu posta e benedetta il 12 giugno 1863, poco distante dalla Casa Centrale.
Il 12 novembre 1865, la nuova chiesa veniva solennemente consacrata alla presenza delle Altezze Reali. Il Teologo Arpino si trasferì presso di essa e la chiesa di San Salvario ritornò all’uso delle Figlie della Carità e dell’Ospedale.

 

Già da tempo si era aperto un “incunabolo”, asilo nido del tempo, che poteva accogliere bimbi da pochi mesi fino ai tre anni mentre le madri del borgo, in massima parte operaie, erano al lavoro. La regina Maria Adelaide pose l’opera sotto il suo patronato.A questo periodo risale anche l’apertura di un laboratorio femminile; esso funzionò così bene che, già nel 1859 si rese necessario aprirne un altro. Nel 1850 fu eretto un asilo nel giardino del convento, aperto ufficialmente nel 1852, passò nel 1860 alla Società degli Asili Urbani. Alcuni locali furono adibiti a scuola elementare.

 

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Nel 1853 la Guerra Russo-Turca fornì al piccolo Stato del Piemonte l’occasione per stringere alleanza con le grandi potenze occidentali: la Francia e l’Inghilterra. Il Governo domandò alle Figlie della Carità di seguire il Corpo di spedizione di 15.000 soldati inviati a combattere contro la Russia in Crimea. Suor Cordero, Economa Provinciale, si offrì per questa missione pericolosa e raggiunse con 70 Suore le rive del Bosforo per curarvi i soldati feriti e soprattutto i colpiti dal colera che faceva strage fra le truppe. Parecchie Sorelle vi lasciarono la vita.

 

 

 

Nel 1854 la contessa Maglino istituì la “Misericordia di San Massimo” in Torino, e le Suore furono addette alla distribuzione delle minestre per il laboratorio, e poi per l’asilo di questo istituto cittadino.

 

Nel 1855, si costruì una nuova Cappella interna a San Salvario, addossata ad ovest del corridoio del braccio sud del convento, più raccolta e più rispondente ai bisogni della Comunità, sempre più numerosa. Il Padre Etienne, Superiore Generale, la venne a benedire.
Si costruì anche una nuova ala interna, di tre piani più le soffitte, per l’infermeria, i dormitori, refettori e cucine visto il numero di Suore sempre crescente che affluiva alla Casa Centrale in occasione di Ritiri spirituali.

 

Nel 1856 la Provincia si era talmente espansa, che i Superiori decisero di costituire, con otto case, la Provincia di Toscana, alla quale Torino offrì anche la prima Visitatrice: Suor Cordero, di Mondovì, che diventerà poi la seconda Visitatrice di Napoli.

 

Nel 1865, per ragioni politiche (siamo ai tempi delle guerre di Indipendenza, la Spedizione dei Mille e la proclamazione del Regno d’Italia) e a causa del numero troppo limitato di soggetti, la piccola Provincia di Siena venne di nuovo incorporata, provvisoriamente, a quella di Torino. Dieci anni dopo, nel 1875, essendo le case del Centro Italia numerose e prospere, i Superiori decisero di ridare autonomia alla Provincia di Siena, nominandone Visitatrice Suor Gottofrey. Il Padre Bore’ scriverà di suo pugno la lista delle 71 case che dovranno formare la Provincia Toscana con Casa Provinciale a Siena, al Conservatorio di San Girolamo, e delle 109 case che resteranno alla Provincia di Torino.

 

Nel 1860 le Suore furono chiamate al Ricovero di Mendicità della città. Nel 1865 sorse un educandato per le fanciulle che non potevano restare in famiglia, offrendo loro, per una retta modica, la possibilità di ricevere una educazione completa, adatta alla loro condizione. Nello stesso anno le Suore furono richieste per l’istituzione di una Misericordia nella parrocchia di San Carlo.

 

Nel 1866, l’emanazione della legge che stabiliva la soppressione delle istituzioni religiose e l’incameramento dei loro beni portò gravi preoccupazioni per la sopravvivenza della Compagnia stessa e delle opere caritatevoli svolte in tutta Italia. Il primo dicembre di quell’anno, quando la pratica per la soppressione della Compagnia fu pronta per essere portata davanti al Consiglio dei Ministri, Padre Rinaldi, in qualità di superiore della Casa di San Salvario, ebbe un colloquio con il Signor Vegni, che avrebbe tenuto una relazione in merito davanti al Consiglio. Purtroppo il Signor Vegni gli notificò, il 5 dicembre, che non c’era modo di evitare la soppressione della Compagnia: sulla base della legge, essa risultava religiosa, perché le patenti di istituzione di Luigi XIV disponevano l’approvazione del vescovo di Parigi, autorità ecclesiastica. Superato lo sconforto, Padre Rinaldi esaminò più attentamente il documento governativo: con meraviglia si accorse che esso non riguardava le Figlie della Carità, ma le Dame della Carità; queste ultime però non furono mai una comunità religiosa, ma secolari dedite ad un’opera pia approvata dal Vescovo di Parigi, ed in qualità di secolari non potevano essere soggette a soppressione. Ne conseguiva che neppure la Compagnia delle Figlie della Carità poteva essere soppressa, perché il decreto la riguardava solo indirettamente, permettendo alle Dame di richiederne l’aiuto. Il 6 dicembre Padre Rinaldi si recò dal Signor Vegni per le necessarie spiegazioni: mentre discutevano, giunse un biglietto di avviso del Ministero per l’adunata della Commissione incaricata di trattare la pratica delle Figlie della Carità, che si sarebbe tenuta la sera stessa. Quando il signor Vegni vi giunse, trovò un ambiente ostile alla conservazione della Compagnia, ed intuì che la decisione era già stata presa prima ancora di esaminare il caso; ciò nonostante egli espose quanto gli era stato detto da Padre Rinaldi. Come per incanto la Commissione cambiò parere e la Compagnia non fu soppressa. La mattina seguente il Signor Vegni informò di questa vittoria Padre Rinaldi; la gioia per la notizia fu immensa, e così, concluso l’incubo di una soppressione che si temeva inevitabile, le suore poterono proseguire la loro opera caritatevole, modificandola e sviluppandola secondo i nuovi bisogni della società.

 

Sempre nel 1866 un gruppo di dame fonda un’unica compagnia delle tre Parrocchie di San Pietro e Paolo, Sacro Cuore di Gesù e Sacro Cuore di Maria, che rimarrà unita per molti anni, fino al 1945.

 

Nel 1868, il 14 giugno, si rischiò un incidente diplomatico. Alla Dogana di Torino venne sequestrato un quadro diretto alle Figlie della Carità di San Salvario: Pio IX vi era raffigurato con una folgore in mano e, ai suoi piedi, giaceva Garibaldi folgorato!

 

Nel 1874 sorse l’Istituto dei Santissimi Angeli, con l’Opera di Misericordia, affidato alle Figlie della Carità.

 

Nel 1876, una nuova esperienza: una società di ragazzi e ragazze prima chiamata San Luigi, poi Gesù Bambino. Questi giovanissimi vincenziani organizzeranno anche iniziative a favore dell’infanzia della Cina.

 

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Il sobborgo cresceva e i prati lasciavano spazio a case popolari e palazzi signorili. A partire dal 1878, in seguito a una importante donazione del Cavalier Giovanni Stefano Bonacossa, nella casa di San Salvario si potè costruire un nuovo corpo di fabbrica destinato ad accogliere la scuola e l’asilo infantile. Il piano terreno poteva accogliere 200 bambini in un grande salone. Vi era un locale meno ampio per i più piccoli e uno spogliatoio. Un corridoio isolava un poco gli ambienti dai rumori di via Nizza, già frequentatissima e trafficata.

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Sopra la cucina a nord fu stabilita una galleria a vetrate per esercizi ginnici e la ricreazione quando il tempo non permetteva di uscire in cortile. Al piano superiore fu destinato l’incunabolo. In previsione di un aumento delle richieste si pensò di ampliare ulteriormente l’edificio, anche progettando spazi per la Scuola Elementare e il Laboratorio Femminile. Verso il 1900 si iniziò la nuova costruzione di quattro piani. Le famiglie abbienti pagavano 0,60 lire di retta mensile per la minestra che veniva servita ai bimbi ogni giorno. Chi non poteva la riceveva gratuitamente. La Scuola Elementare iniziò con le prime due classi, poi arrivò fino alla sesta. Le alleve vi si fermavano tutto il giorno e ricevevano gratuitamente una sostanziosa minestra. Non solo gli ambienti erano ordinati ed accoglienti, ma anche il programma scolastico governativo veniva pienamente seguito, tanto da meritare più volte l’encomio degli Ispettori nelle loro visite improvvise.

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Nel 1884 nasce l’associazione della Santissima Annunziata presso l’omonima parrocchia in via Po, dedicata ai “poveri delle soffitte”.

 

Nel 1887 fu aperta una casa a San Donato, su richiesta del parroco, per una Misericordia ed un laboratorio, al quale si aggiunse presto un internato per fanciulle.

 

Nel 1890, le Suore furono chiamate a prestare la loro assistenza all’ospedale Maria Vittoria, nel quale restarono fino al 1913.

 

Nel 1892, a Borgo Dora, furono impegnate nel laboratorio e nella Misericordia aperti presso la Chiesa di San Gioacchino.

 

Due anni dopo si apri la casa di Santa Giulia, con Misericordia, laboratorio, asilo e “Casa Famiglia”; nello stesso anno presero servizio nell’Asilo Gazzelli della Crocetta.

 

Nel 1895 il professor Ciartoso, da molti anni medico curante dell’Ospedale di San Salvario, e il professor Giordano chiesero alcune Suore per la loro Casa di Cura: le Figlie della Carità accettarono volentieri. Nel dicembre di quell’anno le Suore, su richiesta del parroco di San Secondo, iniziarono la distribuzione delle minestre, installarono un laboratorio femminile e un asilo nido.

 

Nel 1901 il professor Gradenigo richiese l’aiuto delle Figlie della Carità per la sua clinica, assicurando che sarebbero stati ricevuti sia i poveri sia i ricchi. Le Suore accettarono, e poterono così constatare di persona che egli manteneva la promessa fatta. La clinica divenne poi di loro proprietà.

 

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Nel settembre 1912, su richiesta dell’Amministrazione, presero l’assistenza dell’Istituto Ciechi; nel mese di ottobre fu affidata loro la Misericordia Denis-Crocetta.

 

Nel 1914, dal 23 aprile, si demolì la Cappella, che fu ristrutturata dall’architetto Gambetta. Innalzata e ampliata con una navata a destra, sormontata da un matroneo e due ampie tribune, per la Cantoria e per l’Infermeria, la nuova Cappella venne solennemente benedetta il 7 settembre 1915, dal Cardinale Agostino Richelmy, Arcivescovo di Torino. Al di sopra del soffitto a cassettoni in stucco fu costruito un grande salone per il Seminario. Il presbiterio, raddoppiato nell’area, accolse il medesimo altare della Cappella precedente, arricchito da una bella statua dell’ Immacolata.

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Nel 1916, iniziarono a prestare il loro servizio nell’Ospedale di San Vito, nel quale fu aperta, nel 1923, una scuola per Suore infermiere. Il servizio ospedaliero delle Figlie della Carità spesso comprendeva anche l’organizzazione delle colonie estive per i figli dei dipendenti degli ospedali. Accadeva così che le Suore trascorressero le loro “ferie” vigilando su centinaia di bambini ospiti delle Colonie!
Nel 1919, fu aperta la Misericordia di San Paolo e San Bernardino, per la quale furono chiamate le Figlie della Carità.

Sempre nel 1919, la Suor Servente dell’Ospedale Maggiore San Giovanni Battista di Torino, Vincenza Pucci, venne pubblicamente elogiata dall’allora Presidente Calandra. Venuto a conoscenza della ricorrenza dei 50 anni di vita consacrata della suora, volle intervenire nel Consiglio, parlando delle “grandi, innumerevoli benemerenze nella pubblica assistenza cittadina. Volle che nei Verbali si dette atto dell’ “opera intelligente, amorosa che per oltre un trentennio, con patrizia nobiltà di animo ella aveva profuso a beneficio materiale e morale degli ammalati, senza risparmio di fatica e di mezzi”. A suor Vincenza Pucci venne conferita la Medaglia d’Oro honoris causa, solitamente conferita ai Primari benemeriti.

 

L’8 luglio 1920, nell’ambito delle feste per la Beatificazione di Luisa de Marillac, avvenuta a Roma il 9 maggio precedente, venne benedetta la cappellina a lei dedicata nella rinnovata Cappella di San Salvario: un altare in marmo bianco di Carrara, sormontato da un’icona in bassorilievo di squisita fattura, in marmo Ravaccione di Massa, eseguita dallo scultore Fernando Tobesi su disegno del prof. Cesario Fellini.

 

Nel maggio del 1923 le Figlie della Carità vennero chiamate all’Ospedale Oftalmico; in dicembre si apri una casa per assistere i poveri della Parrocchia Metropolitana di San Giovanni e di quella del Corpus Domini; a queste opere si aggiunsero presto l’asilo e il patronato.

 

 

Nel 1926, la Suor Servente dell’Ospedale Maggiore San Giovanni Battista di Torino, Vincenza Pucci, dal Capo del Governo venne insignita della Medaglia d’Argento “al merito della salute pubblica”.

 

Dal 1833 al 1926 sorsero in Torino ventisei Case, in risposta a crescenti e nuovi bisogni di assistenza della popolazione cittadina; l’opera delle Figlie della Carità nel frattempo si era diffusa in tutta Italia, con la fondazione della Provincia di Toscana, con sede a Siena, di quella di Napoli, e della Provincia Romana. Alcune delle nuove fondazioni: in Liguria nel 1834, in Emilia Romagna 1841, in Toscana nel 1843, in Svizzera nel 1845, in Lombardia nel 1859, verso le Missioni Estere dal 1862, in Veneto nel 1867, in Friuli Venezia Giulia nel 1907, e a Parigi nel 1929, dove venne aperta un’Opera per i migranti italiani in terra di Francia.

 

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Il primo gennaio del 1926 esse iniziarono a portare il loro conforto nelle Carceri giudiziarie, dette “Le Nuove”.

 

A queste opere, già numerose, si aggiunsero quelle di animazione e promozione di numerose associazioni, come quella delle Figlie di Maria, e l’organizzazione di attività pie, come gli Esercizi Spirituali per Maestre e il Comitato per la distribuzione di minestre gratuite per i poveri delle parrocchie di San Pietro, del Sacro Cuore di Maria e del Sacro Cuore di Gesù.

 

Il 27 febbraio 1927, alla presenza delle massime autorità civili e religiose (fra le quali il Card. Arcivescovo Giuseppe Gamba e  i Superiori della Missione), il presidente dell’Ospedale Maggiore San Giovanni Battista di Torino, generale medico Morino, elogiò le suore Margherita Ricci, Germaine Beaulier e Francesca Boldi per i loro 45 anni di esemplare servizio ai malati ed ebbe parole di alto encomio per l’ “impareggiabile” Superiora Vincenza Pucci: “…ella accoppia ai sentimenti più fini di animo gentile molta intelligenza, buona cultura, fermezza di carattere, molto tatto… in 41 anni di servizio, nessun malato grave venne a mancare senza la sua personale assistenza, che continuò, poi, anche fuori dell’Ospedale con soccorsi materiali, impieghi ai disoccupati, ricoveri ai bambini orfani e derelitti; e tutto ciò con la massima segretezza”. Suor Pucci non solo diresse un centinaio di Suore e curò esemplarmente gli infermi, ma fu incaricata anche di delicate mansioni nell’ambito economico ed amministrativo dell’Ospedale. Durante la guerra 1915–18 ebbe infinite premure per i militari ricoverati e così durante la “spagnola” degli anni 1919-20.

 

Nel 1929 iniziò il proprio mandato la prima Visitatrice italiana, suor Elisabetta Galbusera, dopo che per tradizione erano sempre state elette Sorelle francesi.

 

Le Figlie della Carità portarono la loro assistenza ai combattenti durante le guerre di indipendenza e, successivamente, in tutte le altre guerre che sconvolsero l’Europa e il mondo intero.

 

A suor Galbusera, seguì nel 1931, come Visitatrice, suor Martina Zari, che era stata Direttrice del Seminario dal 1912. Suor Zari portò la Provincia alla massima espansione. In quel periodo, le opere si diversificano sempre più, e, uno stesso locale può accogliere magari i bambini durante il giorno per l’oratorio e, alla sera, divenire scuola per giovani ed adulti, comprese mamme e ragazze.

 

Il 13 settembre 1933, morì suor Vincenza Pucci, notissima Suor Servente dell’Ospedale San Giovanni di Torino.

 

 

Nel 1936, un centinaio di Suore spagnole, sfuggite miracolosamente alla Rivoluzione, sbarcarono a Ventimiglia, vestite con gli abiti civili più disparati. La Casa Provinciale di Torino ne accolse 55, di cui 27 provenienti dalla Casa di Carità di Barcellona e 28 Suore Velate della Casa di Riposo di La Cartuja. Altre Case divideranno con loro, per oltre un anno, la pena dell’esilio e la gioia del servizio.

 

 

Le notti del 18, 21, 29 novembre 1942, la città di Torino subì rovinosi bombardamenti. La prima notte l’Ospedale Martini venne gravemente danneggiato e fu subito messo in atto lo sgombero dei malati, gesto provvidenziale, poiché nella notte del 21, il Martini venne completamente distrutto. Si segnalarono per zelo, coraggio e abnegazione il medico di guardia, il cappellano, alcuni infermieri e la Suor Servente delle Figlie della Carità, Giuseppina Brusco.

Anche l’Ospedale delle Molinette venne colpito pesantemente. Furono danneggiati anche il padiglione delle Suore e il rifugio anti-aereo.

 

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Suor Santina Selva, rimasta ad accudire i malati gravi, morì sotto il bombardamento.

 

Suor Vittorina De Marchi rimase gravemente ferita nel rifugio anti-aereo dove si era portata per rincuorare i ricoverati.

 

Insieme alla Suor Servente, Giuseppina Baccanelli, furono citate nell’ordine del giorno della Presidenza per il coraggio, lo spirito di iniziativa nell’opera di salvataggio, nel trasporto dei feriti e nel sangue versato.

 

 

Nel 1943, l’Ospedale delle Molinette fu di nuovo pesantemente bombardato.

Il 18 agosto tutta la zona di San Salvario, anche la stazione di Porta Nuova, subì un pesante bombardamento.

 

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Nel 1952, nacque il Segretariato della Carità, collegamento, coordinamento e centro culturale delle varie realtà vincenziane torinesi.

 

Nel 1956, dopo le dolorose vicende della guerra, la Provincia di Torino era nel pieno della sua ripresa: 3300 suore in 356 case e 4 succursali. Il 15 aprile 1956, la Madre Lepicard nominò Visitatrice suor Luigia Valerio.

 

Le sue frontiere si estesero dalla Jugoslavia a Trento, dalla Svizzera a San Remo, da Marina di Massa a Finale Marina. In fedeltà alle direttive della Santa Sede, i Superiori studiarono i mezzi per favorire una amministrazione più idonea e rapporti più facili tra i Superiori e le Suore delle singole Case, decidendo così la divisione della Provincia:

alla Provincia di SIENA passano 75 Case;

79 Case costituiscono la nuova Provincia di SARDEGNA,

a TORINO restano 203 case con 2000 Suore.

 

Il 25 settembre 1959, la Casa Provinciale ebbe la sua prima Suor Servente (fino ad allora dipendeva direttamente da Suor Visitatrice) nella persona di suor Dal Fiume da circa 20 anni suora “d’Ufficio” in Seminario. Nel 1962, suor Magnani, Economa Provinciale, ricevette la nomina a Visitatrice.

 

La presenza delle Figlie della Carità si diffuse in tutta la città di Torino, specialmente nei quartieri più poveri.

 

La loro presenza nella vita cittadina era diventata così preziosa e stimata, che a partire all’incirca dalla metà del XIX secolo, si diffuse in Torino una canzone popolare in dialetto, che descriveva la loro opera e il loro abbigliamento:

 

Le suore di San Salvario
Sono tante farfalle
Portano un gran rosario Forbici e grembiulone

Le suore di San Salvario
Sono tante farfalle
Dal cuore straordinario
Per tutti i poveracci

Le suore di San Salvario
Sono tante farfalle
Sono sorelle e madri
Negli ospedali e nelle carceri

Le suore di San Salvario
Sono tante farfalle
Ma hanno così poco salario
Che si nutrono di devozione

 

L’umorismo con cui sono descritte le “cappellone” tradisce in realtà la riconoscenza e l’amore dei torinesi.

 

 

 

 

Nel 1973 venne ristrutturata ancora la Cappella, con la costruzione di un nuovo altare.

 

Nel 1978, suor Giovanna Beltrando divenne Visitatrice della Provincia. Le seguirono suor Alessandra Ricardi, nel 1987; suor Rita Ferri, nel 1996 e, dal 2003 al 2013, suor Maria Pia Bertaglia.

 

 

Il 31 maggio 2013 sarà istituita la nuova Provincia “San Vincenzo Italia” ricreata dall’unione delle Province di Roma, Siena e Torino.

 

 

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